Quando vidi per la prima volta il Duomo
di Monreale ero ancora un ragazzo rimasi incantato di
tanta
bellezza, come si incantano tutti coloro che varcano la soglia del tempio
per la prima volta
e non soltanto. Da allora, senza sottrarmi allo sguardo
benevolo del Cristo, ho cercato di
scorgere qualcosa di nuovo, di nascosto,di
lasciato nell'ombra: il tracciato di un segno, la
morbidezza d'una veste
intessuta di pietre e divenuta una trina, uno sguardo di tessere colorate
che penetra l'anima e la seduce. Ma quello che ha sollecitato in me
la curiosità è il periodo storico
in cui il Tempio venne
edificato.
Un perido in cui Palermo passava dal dominio degli arabi a quelo dei
normanni - dei soldati di
ventura al soldo di potenti, ma soprattutto
della Chiesa di Roma, con la quale strinsero un patto
di fedeltà
- che andava incontro al nemico al grido di: "Dex aiè, Dio
aiuta!".
Degli avventurieri, dunque, capaci di dar di spada, ma sensibili alla
civiltà superiore - quella
mussulmana - trovata nell'isola che,
scrive Jean Hurè, "essi vollero assimilare nel campo
intellettuale
ed artistico", tanto da rivaleggiare con lo splendore del mondo
bizantino facendo
edificare opere di rara belezza come il Duomo
di Monreale.
Molte volte ho tentato di scrivere una rappresentazione storica e spettacolare
di
quell'avvenimento, cosi tanto importante. Soltanto in questo 1998,
dopo mesi e mesi di ricerche,
sulla scorta di fonti attendibili, desunti
dagli archivi storici della Storia Patria, della biblioteca dei
padri
cappuccini e da quella della Regione Sicilia, dalle miscelanee, dai
testi di un cronista di quel
tempo, ho potuto, inserendovi quel tanto
di fantasia credibile che l'insieme delle fonti mi ha
suggerita, ricostruire
quei giorni, cosi tanto lontani, i personaggi, immaginare il loro mondo.
Cosa disse Guglielmo quando vide nella sua fortezza, la realizzazione del suo sogno. Aveva
seguito le varie fasi della costruzione sin dai progetti, aveva dato suggerimenti, aveva senz'altro
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